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Una coppia di sgangherati vagabondi, sottufficiali in congedo dell'esercito imperiale britannico, si avventura nella folle impresa di conquistare il Kafiristan (oggi regione nordorientale dell'Afghanistan) e di farsi acclamare re, sognando di trattare l'alleanza con l'Impero inglese per il dominio strategico dell'intera area. Inutile dire che l'impresa finisce malissimo e che la nota grottesca con cui era cominciata si incupisce in immagini tragiche (per tutte, la testa mozzata di uno dei due vagabondi). Il linguaggio (sul quale Mario Domenichelli ha lavorato con la puntigliosa consapevolezza di una prova importante e irrinunciabile per la comprensione del racconto) è un impasto unico di umile e sublime, registri gergali e basso-mimetici che si alternano a quelli più alti e "realistici" della voce narrante, in un fluire rapido della narrazione che riesce a raccontare, con voci diverse, tante storie: quella dei due poveri vagabondi, vittime più che protagonisti dell'impresa imperiale, e di tanti altri sconfitti - nativi e britannici cancellati dalla storia, e quella della Grande Storia, di cui il racconto di Kipling si fa parodia e, al tempo stesso, tragico controcanto.